Smart working vs Emergency working al tempo del CoVid-19 e oltre

di Bruno Lamborghini

Economista industriale

La grave pandemia CoVid-19 ha accelerato in tutto il mondo la diffusione del lavoro a distanza a seguito del blocco delle attività lavorative in fabbrica ed in ufficio ed anche in Italia si è dovuti ricorrere per necessità a tale modalità.

Si deve parlare per lo più di necessità e di emergenza,  in particolare nel caso italiano, tenuto conto che in grande parte delle imprese italiane e soprattutto  delle piccole imprese che ne costituiscono la grande maggioranza, così come  le attività della pubblica amministrazione centrale e periferica,  il lavoro a distanza sinora veniva considerato come telelavoro povero, ovvero lavoro occasionale o puro trasferimento a casa di attività svolte in ufficio, cioè lavoro con livelli inferiori  di produttività, controllo e qualità rispetto ad attività in sede. Il blocco delle attività imposto dalla pandemia ha determinato la necessità di trasferire urgentemente all’esterno attività di lavoro con il termine di smart working.

In realtà, gran parte di queste attività deve piuttosto essere considerato come “emergency working” ovvero telelavoro ancora destrutturato, non collegato a specifiche modalità di riorganizzazione delle attività, con seri problemi di collocazione in spazi domestici inadeguati,  così come appaiono  ancora destrutturate riunioni di lavoro divenute team working  a distanza utilizzando canali occasionali spesso privi di sicurezza  e spesso fonte di perdita di connessione  e di tempo.

Fanno naturalmente eccezione anche in Italia le attività da tempo operanti nel vero smart working, come hightech, fintech, sviluppo software, ricerca e attività che interagiscono a distanza a livello internazionale, già da tempo operanti con procedure di lavoro e di team in fase avanzata di smart working. Ne sono esempi centri di ricerca e progetto, come il Cefriel, da tempo operante in vero smart working a livello internazionale.

Dato che i rischi pandemici del  CoVid-19, anche se sperabilmente attenuati nel corso dell’anno, potranno proseguire con lunghe code  ed eventuali ritorni nel  2020 e 2021, con la necessità di proseguire grande attenzione e possibili ulteriori limitazioni agli assembramenti e distanziamenti delle persone, così come limitare  viaggi in treno o in aereo,  il tema del lavoro  a distanza  appare destinato a divenire strutturale e trovare nuovi spazi applicativi anche in Italia,   comportando la ricerca  di trasformazioni organizzative per divenire elemento non più emergenziale, ma strutturale, cioè vero smart working, finalizzato non solo alla tutela della salute e dell’ambiente (riduzione della mobilità e dei connessi fattori di contagio e inquinamento), ma con obiettivi di trasformazione e miglioramento del lavoro e della creatività innovativa integrata e determinata dal carattere stesso del lavoro a  distanza, sfruttando anche nuove condizioni del rapporto  lavoro vita.

Qualcuno pensa che ad un certo momento si tornerà ad operare come prima, senza necessità di lavoro decentrato, ma non è così. Non solo per il prevedibile permanere di condizioni complesse, ma per chiare ragioni organizzative.

Appare quindi opportuno cercare di capire meglio che cosa è lo smart working, quali sono gli obiettivi e come si realizzano efficacemente.

Partiamo dalle tre definizioni e traiettorie validamente espresse recentemente in un webinar di AICA da Enzo Rullani circa lo smart working, linee molto stimolanti e di cui qui si dà solo indicazione parziale.

In questa analisi non viene considerato il livello zero costituito dal trasferimento passivo a distanza di alcune attività svolte in ufficio ovvero le attività di emergency working attuale, causa pandemia, di tipo provvisorio e non strutturato.

Lo schema proposto da Rullani prevede tre livelli di smart working:

  • Smart working esecutivo, cioè attività lavorativa standard gestionale a distanza, non occasionale, ma strutturata, peraltro svolta con limitata autonomia e partecipazione in modo continuativo. Si tratta di attività standard che in futuro potranno essere sostituite da macchine o algoritmi senza apporto o con limitato apporto umano
  • Smart working adattivo, cioè attività lavorativa a distanza con relativa autonomia per interventi spesso on demand ed in forma anche personalizzata senza specifici vincoli di spazio e tempo, con possibilità di partecipazione agli obiettivi e con un apprendimento continuo on the job. Sono esempi, alcune attività gestionali, commerciali o di assistenza/consulenza in campo tecnico o finanziario.
  • Smart working creativo, cioè forme di lavoro dotate di autonomia e partecipazione personale in grado di affrontare condizioni di complessità e di innovazione continua con risultati misurabili ad esempio in termini di progetto e con un apprendimento permanente anche in termini di impegno personale. Sono tipici di questa forma di lavoro le attività di ricerca e di progetto, lo sviluppo software, il marketing creativo.

In futuro, gran parte delle attività lavorative si orienteranno sempre più strutturalmente come smart working, cercando di puntare al secondo ed al terzo livello, secondo diverse modalità, evolvendo verso forme di partecipazione collaborativa o di autonomia creativa, in un contesto di trasformazione organizzativa dell’impresa e delle istituzioni, in cui le singole persone ed i team assumono ruolo centrale e costituiscono fattore qualificante e innovativo.

Il concetto di smart working tende quindi a divenire l’elemento qualificante delle attività, siano esse svolte a distanza a casa o in sedi separate, in mobilità (lavoro nomade) od anche in specìfici ambiti aziendali o in strutture flessibili di coworking.

Il posto di lavoro smart diviene il computer, lo smart phone, la piattaforma dati a cui accede ed utilizza lo smart worker, dovunque si trovi.

Cosi’ pure si trasforma il team work, la riunione di gruppi o aziendale che si svolge prevalentemente in rete od anche in presenza o in forma ibrida.

Elemento determinante è la possibilità di accesso dello smart worker alla piattaforma dati ed a tutte le informazioni aziendali che consentono di gestire la propria attività in qualsiasi spazio o tempo e compartecipare con team e responsabili di progetto in real time in un dialogo continuo.

Il lavoro smart richiede di integrare strettamente l’attività con un processo di apprendimento e aggiornamento continuo sia delle specifiche mansioni professionali che di conoscenze generali interdisciplinari, oltreché di un aggiornamento continuo di competenze digitali, che costituiscono la base determinante di qualsiasi attività e di tutte le strutture organizzative.

Cioè può consentire un maggiore controllo personale del proprio tempo ed anche un migliore rapporto tra lavoro e vita, puntando in forme diverse ad arricchire di relazioni e di valori umani (ed anche di gioia) la propria attività, come predicava e realizzava Adriano Olivetti.

Oggi si parla di smart working, anche come di “agile working”, cioè di lavoro flessibile, adattabile a cambiamenti anche improvvisi, il Cigno Nero, non solo per possibili nuove ondate epidemiche, ma anche per le sempre più frequenti e radicali trasformazioni tecnologiche, industriali e finanziarie.

L’”agile working” si integra con e determina “agile organisations” cioè  strutture organizzative flessibili e adattabili ai rapidi mutamenti delle  tecnologie e del mercato.

L’esperienza del CoVid-19 in Cina ha dimostrato non solo la rapidità di azioni di quel paese volte a frenare l’epidemia, ma anche la rapidità di adattamento del sistema industriale cinese alle crisi.

Pur con le necessarie differenze culturali, occorre che anche in Italia si abbia la stessa capacità di adattamento e cambiamento in tempi rapidi per affrontare mutazioni imprevedibili.

Questa pandemia ha forse fatto comprendere meglio le direzioni verso cui muoversi per una rinascita e contemporaneamente per lo sviluppo di nuovi modelli d’impresa, dalla trasformazione delle supply chain eccessivamente frammentate a livello globale verso filiere più vicine e direttamente gestibili, la necessità di orientare le attività produttive verso una maggiore  tutela della salute della  terra  assieme alla salute dell’uomo,  da strutture produttive a forte consumo e spreco  energetico verso produzioni circolari in grado di progettare prodotti riutilizzabili ed a limitato consumo di energia e di materie prime, oltreché verso un più efficace waste management.

In più, utilizzando come baricentro operativo piattaforme dati di interazione domanda-offerta ed una totale diffusione delle reti digitali e dell’intelligenza artificiale in tutti i processi.

Tutto questo non è un free lunch, il processo di ricostruzione post virus e la transizione avrà costi elevati in termini occupazionali e aziendali.

Ma ci sono chiare opportunità, assieme ai rischi ed alle incertezze.

La prospettiva di smart working e di “agile enterprise” sono strettamente legate alla capacità di grandi investimenti in formazione ed apprendimento continuo per costruire ed adeguare continuamente le competenze dinamiche necessarie a tutti i livelli, competenze sia tecnologiche che di soft skill estesi, cioè conoscenze interdisciplinari ad ampio raggio, human skills e consapevolezza critica, che sono la base per  costruire opportunità  di lavoro smart, responsabile,  partecipativo e creativo.

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