Il Covid-19 e le catene globali del valore. Quali effetti?

di Francesco Stefanelli

Supply Chain and Operation Manager

L’epidemia di COVID-19 ha rappresentato qualcosa di incredibilmente disruptive per le catene globali del valore, qualcosa che nessuno si aspettava così potente. Il COVID-19 ha, infatti, interrotto lunghi tratti di fornitura “a basso costo” da Oriente verso Occidente mettendo in luce tutta la fragilità delle imprese occidentali (Supply Shock). Le aziende di medio-grande dimensione si sono attivate al fine di acquistare “Stock Strategico” e correre verso fornitori “più vicini”, al fine di rendere le filiere “più vicine e flessibili”. Tuttavia il virus ha allargato il suo raggio di azione muovendo ad Ovest e determinando quindi il fermo anche di larga parte dei mercati finali (Demand Shock).

Si è verificato così un Bullwhip Effect (aumento della variabilità della domanda man mano che ci si allontana dal mercato finale e si risale la catena di fornitura) di proporzioni enormi che ha travolto un largo numero di settori.

QUALI OPPORTUNITA’ PER L’ITALIA?

Essendo uno dei paesi più colpiti, l’Italia si inserisce nella lista degli stati potenzialmente in grado di cogliere determinate “opportunità” che abbiamo intravisto nei mesi di lockdown. Ad esempio: l’e-commerce si sta finalmente diffondendo anche in fasce di popolazione che avevano avuto meno interesse ad accedervi per l’acquisto di beni; La digitalizzazione dei processi è ora una priorità nazionale per il rilancio e sia Pubblica Amministrazione che privati hanno finalmente percepito l’esigenza di una ristrutturazione più attenta della gestione dei dati; Innovazione e Finanza a supporto delle imprese sono leve strategiche per il rilancio e lo sviluppo del Sistema Italia.

In questo panorama, si individuano come sostanziali alcuni drivers: 1) Il monitoraggio dei dati per essere resilienti. Sono ora disponibili numerosi strumenti e tecnologie per monitorare costantemente i rischi che emergono da tutto il mondo. Non sappiamo cosa accadrà in futuro, ma sappiamo che qualcosa è molto probabile che accada. E dobbiamo attrezzarci. 2) Una nuova Flessibilità Finanziaria per integrare meglio filiere produttive in modo sinergico. E’ necessaria una maggiore integrazione e partenariati per essere maggiormente integrati verticalmente nella catena logistica. In questo, il settore emergente del Fintech potrebbe essere una leva importante. 3) Supply Chain re-Design. Il ripensamento della catena produttiva comporta un salto strategico importante per le imprese anche se troppe poche aziende italiane (non più del 10%) considera questi temi rilevanti per il business.

E’ necessario avvicinare punti di approvvigionamento, di produzione e di consumo al fine di rendere l’organizzazione più adattabile al cambiamento. Proprio questo punto appare particolarmente impegnativo in quanto non comporta un salto di innovazione tecnologica, come i precedenti due, ma cambia sostanzialmente il modo di concepire la filiera produttiva, mettendo alla prova le competenze strategiche del management e cambiando il paradigma da “Lowest Cost” a “Total Cost of Ownership.

Harry Moser, fondatore di “The Reshoring Initiative” (associazione americana no-profit di riferimento per il Reshoring in USA) ha costruito un fitto database di US Reshoring Case Studies e sviluppato un free software che calcola il TCO=Total Cost of Ownership, al fine di valutare la convenienza del rientro delle attività produttive dal Far East. In questo modo l’ingegner Moser ha anticipato la questione presente oggi sul nostro tavolo: “Siamo sicuri che, a conti fatti, la logica del minor costo paga sempre? Siamo certi che se consideriamo fattori quantitativi (tangibles) e qualitativi (risks) non ci convenga spostare l’asse della nostra analisi sul Total Cost of Ownership?”

A tal proposito tre sono le domande che alcune imprese italiane si stanno ponendo in questi primi mesi del 2020, stimolate ancor più dall’emergenza COVID-19:

  • Siamo certi che, aumentando la produttività e integrandomi meglio coi fornitori, non riesca a raggiungere il “tipping point”?
  • Siamo certi che il rischio di avere una catena così lunga valga il gioco, al netto dei rischi e delle instabilità evidenti?
  • Siamo certi che per raggiugere un nuovo livello di flessibilità imposto dal mercato non debba riorganizzare la mia intera filiera?

Alla luce di queste domande, in alcuni casi, non si parla più di un approccio globale, ma un approccio local-to-local, avvicinando i punti di approvvigionamento, produzione e consumo. E il Reshoring ne è solo un esempio.

TORNA ALL’INDICE DEL BLOG

 

qui i più recenti