Le Marche sono pronte alla rivoluzione 4.0?

di Mauro Gallegati

Economista

L’industria 4.0 fa parte di un fenomeno più ampio, spesso identificato come “rivoluzione dell’intelligenza artificiale” (IA) dove le orizzontali piattaforme web – cioè infrastrutture che forniscono servizi per la distribuzione, l’organizzazione e la creazione di servizi digitali – soppiantano le tradizionali verticali “catene di valorizzazione”.

È un processo pervasivo che sta coinvolgendo tutta l’economia e la società. L’aspetto economicamente più rilevante è l’impatto che gli strumenti digitali hanno nel creare interrelazioni sempre più estese nei processi produttivi e commerciali tra le imprese – cioè in definitiva nuove reti. Questa rivoluzione trasforma le dinamiche dei settori, la competitività e il modo stesso di produrre. Si afferma progressivamente uno scenario di crescita senza occupazione che supera la vecchia idea di crescita, ora quantomeno qualificata da sostenibilità ambientale ed occupazionale. In certo modo, la piattaforma digitale sostituisce il mercato come luogo di incontro tra domanda e offerta. Questo ha il vantaggio di aumentare il numero di agenti che vi partecipano, ma il mercato stesso appartiene ai proprietari della piattaforma che decidono regole di ingaggio e partecipazione. Il mercato diventa così una istituzione privata che è guidata dal profitto e non assomiglia punto ad un bene comune.

La rivoluzione AI, sta provocando effetti diversi tra industria, servizi di alta conoscenza e non – come i servizi alla persona.

I costi dei servizi di alta conoscenza richiedono personale specializzato, con costi del personale – non sostituibili da algoritmi – e dei prodotti, alti. Viceversa, i costi marginali e quindi i prezzi di quei servizi più esposti alla concorrenza dei robot, tenderanno a 0. E così i loro profitti. La dimensione delle unità sarà piccolo e le economie di scala esterne all’impresa ma interne al settore, ossia ai distretti, via network.

I servizi non di alta conoscenza, per ora non sono toccati dall’IA, ma essendo a basso valore aggiunto anche i salari saranno bassi. Si assiste quindi alla polarizzazione dei redditi, con pesanti cadute via moltiplicatore.

La manifattura viene anch’essa colpita nel senso che, potenzialmente, i lavori di routine sono sostituibili dai robot. L’industria 4.0 si caratterizza per:

  • Produzione industriale automatizzata e interconnessa
  • Big data, Internet of Things, Cloud computing
  • Intelligenza artificiale Analytics, Machine learning
  • Manifattura additiva (Stampa 3D), robotica, machine-to-machine.

Quali sono gli effetti? Intanto si cresce senza nuova occupazione. Le precedenti rivoluzioni industriali distruggevano anch’esse lavoro. Gli storici economici stimano il 20% di lavori distrutti, 40% di nuovi lavori, 10% di ore lavoro in meno. Ora è stimato che il 60-70% di lavori esistenti sono a rischio scomparsa. Se prima per aumentare dell’1% il numero di occupati il PIL doveva crescere del 3%, ora dovrebbe salire del 9. Le macchine hanno sempre sostituito il lavoro nel breve periodo, ma nel lungo nuovi prodotti hanno fatto aumentare la domanda di lavoro. Ma il numero di lavori che la rivoluzione 4.0 mette a rischio è enorme e si devono creare nuovi lavori, nuove modalità cooperativistiche di produzione e iniziare nuove politiche di redistribuzione di reddito e ricchezza.

La IA consente poi di:

  • Aggiungere contenuti di servizio ai prodotti tradizionali
  • Ampliare i confini dell’impresa unendo contenuti e applicazioni digitali al prodotto
  • Più grandi opportunità di personalizzazione prodotti su misura
  • Diminuisce la scala necessaria per impiegare tecnologie e servizi evoluti
  • Accesso più rapido all’innovazione di prodotto e processo
  • La digitalizzazione consente di accedere ed inserirsi in un ecosistema globale.

La trasformazione è enorme. L’IA mette a rischio molti dei lavori di routine, quelli ora svolti dal ceto medio. La tecnologia rischia così di produrre la scomparsa del ceto medio con conseguenze sociali ed economiche – calo della domanda – molto pesanti.

Vista l’orizzontalità della piattaforma ci aspettiamo una struttura economica con pochi giganti e molti nani in rete, cioè in distretti. Il nodo è qui: saremo capaci di inventarci nuovi distretti? di passare dalle calzature alle auto che si guidano da sole? Le Marche – una delle zone più industrializzate nei settori tradizionali – sono la regione italiana con il più alto tasso d’attivazione di start up innovative in proporzione alla popolazione. Molti elementi spingono a credere che l’economia del futuro sarà l’economia della conoscenza per fornire alle imprese il supporto necessario per sviluppare prodotti con stampa 3D o – più in generale – a soluzioni per l’industria con informatica, automazione, domotica, con offerte che spaziano dalla progettazione meccanica alla realtà aumentata.

L’ecosistema sarà una rete dove i nodi produttori di conoscenza sono le Università e gli Istituti di formazione (tipo ISTAO), mentre la Regione, le Camere di commercio ed il sistema bancario forniscono i link tra i centri di produzione di conoscenza e le imprese. È però un sistema da “inventare”, una rete da costruire attorno a nodi che siano messi in condizione di produrre conoscenza, nonostante la politica di tagli delle autorità centrali.

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