Il “Go Global” dell’e-commerce cinese

di Gianluca Sampaolo

Docente di “Economia della Cina” all’Istituto Confucio dell’Università di Macerata

Nell’ultimo anno il mondo, per lo più l’Occidente, ha assistito alla più grande rivoluzione dello shopping. La pandemia ha portato ad un aumento della spesa online, accelerando la transizione offline-online di circa mezzo decennio. Con i regali di Natale recapitati sulla soglia di casa, i dipendenti Amazon hanno compiuto sforzi sovrumani per soddisfare gli ordini online.

Eppure, è in Cina, non in Occidente, che si sta puntando sul futuro dell’e-commerce. Un mercato ampio e creativo, con aziende tecnologiche che mescolano e-commerce, social media e teatralità per attirare 850 milioni di consumatori digitali.

Ma facciamo un passo indietro. Per un secolo, le aziende di consumo di tutto il mondo si sono rivolte all’America per individuare nuove tendenze: dai codici a barre scansionabili al tenere il passo con le abitudini in continua evoluzione dei consumatori. Ora, è arrivato il momento di guardare a Est.

La leadership cinese nel “commercio elettronico” non è cosa nuova. Le dimensioni del mercato hanno superato quello americano nel 2013: con spazi limitati nei negozi fisici, consumatori e rivenditori sono “balzati in avanti”, verso il digital. Ecco che la quotazione in borsa di Alibaba nel 2014 ha rappresentato la prima offerta pubblica più grande al mondo. Oggi, il mercato retail elettronico del paese del dragone vale 2 trilioni di dollari. Non solo più ampio rispetto a quello americano ed europeo messi insieme ma anche in continua espansione. Infatti, con riferimento ai dati forniti dal South China Morning Post, a dicembre 2020 le vendite al dettaglio in Cina sono aumentate del 4,6% rispetto a novembre 2019.

Al di là delle dimensioni, è la distinzione netta coi modelli del passato e con l’industria occidentale, che ne evidenzia le peculiarità. Per cominciare, è più dinamico. Negli ultimi anni nuovi concorrenti, tra cui Meituan e Pinduoduo, si sono prepotentemente affermati nell’universo digital cinese, attraverso l’adozione di modelli di business quanto mai effervescenti. Come riporta The Economist, un segnale che palesa gli effetti della concorrenza è la riduzione della quota di capitalizzazione del mercato di Alibaba nell’industria cinese dell’e-commerce, scesa dall’81% del 2014 al 55% di oggi.

Altro meccanismo indotto, e strategico, è che la concorrenza ha portato l’e-commerce e altre aziende tecnologiche all’eliminazione dei confini tra diversi tipi di servizi che sono ancora comuni in Occidente. Il “punta e clicca” è ormai superato: le piattaforme di shopping online in Cina ora combinano pagamenti digitali, social media, gaming, messaggistica istantanea, short-video e celebrità in live streaming.

Alla luce di un ecosistema e-commerce, propulsore dinamico ed efficiente di consumi, è lecito domandarsi se la tendenza al “Go Global”, manifestata già nei passaggi chiave della storia economia ed industriale della nazione, venga confermata anche dal modello cinese di e-commerce. Come accade da decenni, i giganti della Silicon Valley tendono ancora a sottovalutare la Cina. Esistono pochi collegamenti diretti tra le industrie di e-commerce occidentale e cinese. In parte, a causa del protezionismo attuato da entrambe le parti; e in parte, perché le aziende occidentali sono state organizzate da tempo in “silos” accoglienti ma prevedibili. Visa è specializzata nei pagamenti, Amazon nell’e-commerce, Facebook nei social media, Google nella ricerca e così via.

La principale fonte di incertezza nel commercio elettronico è rappresentata dalla considerazione su quanti e quali grandi retailers tradizionali riescano o vogliano salire sul treno della transizione, e se abbiano a disposizione risorse e capacità gestionali per affrontare tale processo. Tuttavia, per quanto il commercio elettronico occidentale possa sembrare sicuro, è alquanto improbabile che diventi la modalità di acquisto dominante nello shopping mondiale. E infatti, è nelle economie emergenti o in via di sviluppo che il modello cinese sta già prendendo piede. Molte delle principali aziende di e-commerce sono influenzate dalla strategia cinese di offrire una “super app” con una cornucopia di servizi, che spaziano dalla fornitura di noodle ai servizi finanziari. Le gigantesche aziende di beni di consumo che si trovano a cavallo tra il mercato occidentale e quello cinese possono trovare terreno fertile nell’adottare e trasmettere idee e tattiche commerciali cinesi al modello occidentale. Non a caso, multinazionali come Unilever, L’Oréal e Adidas registrano più entrate in Asia che in America. Ed è li, non in California o Parigi, che il top management si rivolge per carpire le ultime novità in materia di marketing digitale, branding e logistica.

La pandemia non ha fatto altro che accelerare questa tendenza e il modello cinese sta già emergendo nel cuore del commercio al dettaglio occidentale. Le aziende diversificano e si diversificano, sebbene l’impatto sui bilanci, per lo meno iniziale, non sia positivo. Facebook sta ora promuovendo i servizi di acquisto sui suoi social network e si impegna nel “social commerce”, incluso lo streaming live e l’utilizzo di WhatsApp, per la messaggistica tra commercianti e acquirenti. A dicembre, Walmart ha ospitato il suo primo evento di shopping dal vivo all’interno di TikTok, app video di proprietà cinese in cui spera di acquistare una quota. In Francia, secondo i dati SimilarWeb, negli ultimi trimestri la sesta app di e-commerce più scaricata è stata Vova, legata al fondatore di Pinduoduo.

Il passaggio a un’industria globale più “Chinese style” promette di essere un elemento favorevole, oltre che un’ottima notizia per i consumatori. Da un lato, i prezzi sarebbero inferiori, poiché l’e-commerce cinese ci abitua a sconti e ribassi dovuti alla concorrenza tra retailers; dall’altro, perché la scelta e l’innovazione cresceranno.

Tuttavia, l’e-commerce cinese non è impermeabile a situazioni ostili. In un clima da ‘selvaggio West’, la frode è più comune. E ci sono le preoccupazioni antitrust. Si è tentati di vedere la repressione di Jack Ma solo come un’altra dimostrazione del brutale potere del Partito Comunista Cinese. In parte può essere così, ma gli stessi regolatori antitrust cinesi sono inclinati verso la promozione della concorrenza. Ciò significa rafforzare l’interoperabilità, in modo che, ad esempio, i servizi di pagamento su una piattaforma e-commerce possano essere utilizzati senza impedimenti su di una piattaforma rivale. Ma significa anche impedire alle aziende e-commerce di penalizzare i commercianti che vendono beni usufruendo di più servizi online.

Negli anni, è emerso uno schema attraverso cui l’Occidente concepisce l’innovazione in Cina. Dall’elettronica ai pannelli solari, i progressi della produzione cinese sono stati ignorati o liquidati come copie, poi minimizzati e infine riconosciuti in tutto il mondo. Ora sono i gusti e le abitudini del consumatore cinese a diventare globali.

Come rileva McKinsey, la spesa online nel 2021 sarà probabilmente uno dei settori più contesi e controversi per i consumatori cinesi, evidenziando sia l’ulteriore digitalizzazione del consumatore cinese che un intervento più aggressivo da parte dei regolatori. Il capodanno cinese è un periodo dell’anno significativo non solo per gli individui e le famiglie, ma anche per le aziende in Cina, poiché è spesso un momento per ri-organizzare e ri-programmare. Pianificare in anticipo una strategia può rappresentare l’elemento distintivo rispetto ai competitor, riducendo problematiche significative nelle catene di approvvigionamento, nella logistica, e massimizzando anche le opportunità che il mercato cinese può portare al proprio business.

Se l’accordo CAI sugli investimenti tra UE e Cina, per il momento soltanto politico, dovesse essere ratificato, le società europee dovrebbero beneficiare di un accesso preferenziale. Condizione fondamentale è monitorare e studiare, per avere un’idea di dove l’industria, ma in generale il modello cinese, si stia dirigendo e su come rispondere.

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