Dal Covid 19 una sfida per ridisegnare il lavoro

di Bruno Lamborghini

Economista industriale

Mariana Mazzuccato ha intitolato il suo ultimo libro “Non sprechiamo questa crisi” per dirci che la crisi pandemica deve impegnarci a trovare nuove risposte e nuove soluzioni ad un mondo in crescente difficoltà. Questo significa in particolare ricercare nuove opportunità partendo dai condizionamenti imposti dal lockdown e dal lavoro a distanza e cercare anche di ridisegnare nuove forme di lavoro e nuove organizzazioni.

La seconda ondata di Covid 19 ci ha colto impreparati e rischia di creare danni più gravi della prima fase con effetti che influiranno sull’intero 2021 e forse oltre, in particolare sull’occupazione, sui disagi sociali e sui rischi di psicosi collettiva. Ma occorre cercare di affrontare questa crisi pandemica-socio-economica per cambiare e rinnovare quegli elementi già non più sostenibili prima della pandemia, non solo i fattori critici dello sviluppo, le crisi ambientali, lo spreco di risorse non riproducibili, la crescita delle diseguaglianze economiche e sociali, ma anche le condizioni di criticità del lavoro.

Nel passaggio dalla prima alla seconda ondata di Covid 19, è divenuta ormai più diffusa e strutturale la pratica del remote working (che si può chiamare telelavoro, home working o smart working a seconda della sua evoluzione), assieme all’uso diffuso degli strumenti informatici e delle reti digitali. Al di là dei disagi e difficoltà incontrate per l’incapacità da parte di tanti nell’utilizzo degli strumenti digitali e per le carenze delle reti di connettività, questo ha reso le persone spesso più consapevoli del proprio lavoro in termini di utilità, efficienza, qualità e risultati. Si è creata in molti casi una maggiore partecipazione alla propria attività lavorativa, in particolare una maggiore integrazione lavoro-vita ed una nuova focalizzazione su cosa è realmente importante o meno importante.

Considerazioni che si sono manifestate in specie da parte della componente femminile, impegnata contemporaneamente a seguire i figli a casa e le attività domestiche, peraltro con una netta volontà di ricercare nuovi spazi di miglioramento e di cambiamento. Questa esperienza ha evidenziato anche la necessità di cercare di superare il lavoro ripetitivo, passivamente burocratico, quasi fordista, in cui in prospettiva il lavoro verrà sempre più sostituito da algoritmi e macchine-robot, con progressiva eliminazione di attività lavorative a bassa qualificazione. Il nuovo posto di lavoro diviene il computer, lo smart phone, la piattaforma dati ed i canali di comunicazione, che utilizza sempre più lo smart worker, dovunque si trovi, in remoto o in forma ibrida. Il nuovo lavoro assume sempre più anche la forma di lavoro di gruppo in rete, il digital team work in cui il gruppo assume un ruolo centrale nel definire il lavoro di ciascuno per consentire di sviluppare assieme progetti ed obiettivi, moltiplicando le potenzialità innovative e la produttività. Appare crescere anche l’esigenza di condividere assieme processi di apprendimento di una comune digital literacy, una cultura digitale del lavoro nell’ambiente lavorativo comune.

La sperimentazione del nuovo lavoro a distanza, che tende a superare i termini tradizionali di spazio e tempo, accelera il passaggio da remote working a smart working, caratterizzato da maggiore autonomia e in modalità ubiqua/mobile, ibrida (misto residenziale e remoto). Ciò potrà consentire di trasformare il lavoro passando da jobs a skills, da mansioni standard a ruoli professionali connessi alla competenza di ciascuno, da forme passive e rigidi controlli legati a procedure contrattualistiche verso forme di autonomia e responsabilizzazione, per obiettivi misurati sui risultati, secondo anche quanto previsto in Italia dalla legge 81 del 2017 (Misure a tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato), un provvedimento di legge, ripreso nel 2020 dalla Legge di Bilancio e che dovrà necessariamente estendersi a numerose categorie lavorative.

Il nuovo lavoro si basa sulla persona, sulle sue competenze professionali, sull’apporto specifico di ciascuno alla produzione di valore reale, di innovazione, sulla capacità di operare in team, nel quadro di nuove forme organizzative. Ne deriva una maggiore partecipazione, un recupero dei valori del lavoro artigiano, che caratterizza da sempre l’Italia, la consapevolezza di partecipare alla creazione di nuovi prodotti e servizi, di dare maggiore senso alla propria vita attraverso il lavoro. Il lavoro così trasformato si arricchisce e si modifica continuamente attraverso processi di apprendimento dinamico continuo che prendono il posto di una formazione statica e precaria, limitata solo ad alcune fasi della vita. Il reale motore della trasformazione del lavoro e delle organizzazioni così come dell’intera società è costituito dalla formazione permanente, o meglio dall’apprendimento continuo di conoscenze e competenze dinamiche da parte di ciascuno, in grado di aggiornare ed arricchire di professionalità le proprie competenze e l’attività lavorativa. Solo la diffusione piena della società della conoscenza a tutti i livelli può consentire di affrontare i ricorrenti squilibri della domanda di lavoro ed i gravi mismatch tra offerta e domanda di lavoro professionale, nelle condizioni di complessità e di incertezza in cui ci si troverà sempre più ad operare e con crescenti rischi di rapida obsolescenza delle conoscenze e competenze.

La crisi pandemica ha insegnato anche la necessità di una accresciuta responsabilizzazione e partecipazione alla gestione della salute propria e degli altri nel proprio lavoro e nel rapporto con il lavoro degli altri. Ne consegue la necessità che le strutture organizzative siano in grado di tutelare la salute dei propri collaboratori in ufficio e in fabbrica, ma anche nell’home working e remote working. Non vi è dubbio che la tutela della salute si accompagna strettamente con la tutela dell’ambiente in cui si opera. Esiste una stretta connessione tra salute dell’uomo e salute della terra, tra infezioni epidemiche e inquinamento ambientale, tra salute, riscaldamento globale e inquinamento atmosferico. Diviene evidente il rapporto interattivo tra lavoro e sostenibilità ambientale, tra lavoro e condizioni del territorio in cui si opera. La riduzione del commuting, degli spostamenti casa lavoro, a causa della pandemia, ha apportato indubbi effetti positivi sulla salute e sulla riduzione dell’inquinamento ambientale. Le restrizioni di movimento hanno dato valore alla prossimità, alla gestione del bene comune nel territorio e ciò ha particolare significato per un paese come l’Italia, costruito su una mappa di territori e periferie. Le particolari condizioni di vita hanno sollecitato anche comportamenti di maggiore sobrietà consumistica, di attenzione al rapporto alimentazione-salute, al minor spreco ed al riuso delle cose, attuando principi di economia circolare nella vita quotidiana e nell’attività di lavoro ed impatto sui comportamenti nel lavoro e nella vita. Questo cambiamento è destinato a proseguire in modo strutturato al di là delle possibili conclusioni della crisi pandemica.

Non si può dimenticare che il lockdown ed il lavoro a distanza determinano effetti negativi in termini di mancate e difficili relazioni interpersonali. Nel nuovo contesto occorre ricreare rapporti diretti tra le persone, in nuove forme di presenza fisica part time con ibridazione di presenza e di remoto, un nuovo modo di lavorare molto apprezzato dalla maggioranza dei lavoratori, in specie giovani, come mostrano l’analisi di McKinsey e l’indagine Smart Challenge della Luiss, favorendo anche nuove relazioni digitali in rete, per uno scambio di conoscenze e di dati, uno sharing continuo. Con modalità di comunità di pratica, si può promuovere forme di open innovation, di scambi senza barriere delle conoscenze ed una responsabilità condivisa per la tutela dei dati e del rispetto della privacy. Dalla consapevolezza e capacità di gestione del proprio lavoro assieme allo sviluppo delle proprie competenze professionali deriva la possibilità di far evolvere bottom up le organizzazioni verso modelli di “agile organisations” e di “team building” in grado di adattarsi continuamente e strutturarsi in base alle opportunità che provengono dal mercato e dalla disponibilità e partecipazione di competenze professionali dinamiche di singole persone e di team. Lavoro e organizzazioni possono così assumere la forma di comunità di persone, con cultura startup, in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti continui e complessi e di impegnarsi a lavorare assieme per il raggiungimento di comuni obiettivi.

La diffusione strutturata e organizzata dello smart working può divenire un vero laboratorio di competenze dinamiche in apprendimento continuo, attraverso il coinvolgimento di ciascuno nel far evolvere la propria attività senza vincoli di spazio e tempo ed avendo la possibilità di aggiornare continuamente le proprie competenze attraverso un apprendimento continuo che è parte integrata del nuovo lavoro e che ne diviene elemento connaturato anche per un migliore rapporto tra lavoro e vita.

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