Pandemia, crisi globale e politiche economiche
di Mauro Gallegati
Economista
La crisi associata alla pandemia di Covid-19, che si sta diffondendo grazie anche a un’economia sempre più globalizzata, assomiglia a quella provocata da una guerra. Ma non del tutto. Colpisce, come quella, sia la capacità di spesa – la domanda – che la capacità di produrre – l’offerta -, ma rende le infrastrutture e i mezzi di produzione solo temporaneamente inutilizzabili – non essendoci distruzioni fisiche non ci sarà bisogno di ricostruire. La ripresa dovrebbe essere quindi più veloce soprattutto se tante imprese riuscissero a non chiudere e i lavoratori a “sopravvivere”. Ma in realtà quasi niente sarà come prima. La distribuzione del reddito peggiorerà: basti pensare che nelle crisi si è costretti ad attingere ai risparmi e che tra i lavoratori s più penalizzati sono quelli che non possono lavorare da casa – cioè quelli più qualificati e con stipendi più alti – ossia i precari, i lavoratori in nero e i gig. La pandemia ha evidenziato ancora una volta che il modello neo-liberista basato sulla crescita del PIL è fragile e per nulla resiliente. Milioni di europei che già prima della recessione Covid-19 erano a rischio di povertà saranno salvati dall’austerità neo-liberista? Le stime economiche – già di solito incerte – lo sono stavolta ancora di più essendo ora legate alla durata dei periodi di quarantena di tanti paesi che non saranno certo in sincronia l’un con l’altro. Occorre poi evitare che il malessere economico, ora reale, diventi anche finanziario. I singoli Stati stanno già iniettando stimoli nell’economia sotto forma di spesa pubblica, di importo insufficiente a scongiurare il collasso economico soprattutto dei paesi più deboli. La Commissione europea ha erogato 25 miliardi di euro e sospeso le norme fiscali cui sono soggetti i paesi dell’Unione europea, mentre la Banca centrale europea ha fornito un ombrello temporaneo di 750 miliardi di euro. Ma questi sforzi non sono sufficienti.
La salute e la vita di milioni di cittadini europei è minacciata ora, ma l’emergenza Covid-19 non deve farci dimenticare che siamo in una piena crisi ambientale e nel mezzo di una rivoluzione tecnologica. Entrambe richiedono impegni finanziari che nessun paese europeo da solo può affrontare. Se nell’immediato occorrono azioni straordinarie – dall’emissione di “eurobond” garantiti dalla EU alla monetizzazione dei debiti, a una selettiva “helicopter money” – bisognerà iniziare una riflessione seria sul finanziamento del Green New Deal e sulle infrastrutture necessarie alla rivoluzione AI. Il rischio che crolli l’EU è reale, soprattutto se le azioni di più breve periodo non verranno mirate ad aiutare persone e paesi più in difficoltà.
La politica economica da 40 anni si ispira al neoliberismo: prescrive alle imprese private di creare ricchezza e di lasciare allo Stato l’intervento in economia solo per cercare di risolvere i problemi. Così facendo si è allentata la rete di protezione e sicurezza per i lavoratori – soprattutto precari e “working poor” – in società dove la disuguaglianza a sfavore dei poveri è crescente e la sanità pubblica “penalizzata” a favore del privato. Poiché la crisi colpisce soprattutto i più deboli è giunta l’ora del “prima le persone” e di pensare a una misura di protezione sociale che includa tutta la popolazione, come un “diritto di esistenza”, e che diventi strutturale in un Welfare inclusivo.
Questa crisi ci offre l’opportunità di modificare la politica economica e di produrre in modo diverso. I governi non devono limitarsi a intervenire nell’economia per correggere i fallimenti del mercato, ma promuovere attraverso la ricerca e l’innovazione lo sviluppo del benessere e non solo la crescita del PIL. I governi devono inoltre investire per rafforzare i sistemi sanitari, perché la popolazione sta invecchiando mentre siamo sempre più esposti al rischio di pandemie. Se fornire sussidi e assistenza finanziaria alle imprese che altrimenti devono cessare o ridurre la loro produzione sarà inevitabile, il finanziamento di un piano di investimenti a livello europeo su infrastrutture e ambiente in grado di rilanciare in modo sostenibile l’economia europea è un dovere che dobbiamo alle future generazioni.
Di solito, banche centrali e governi hanno cercato di uscire dalla crisi distribuendo denaro. Con un collasso ambientale alle porte dobbiamo fare in modo che gli interventi siano finalizzati a fornire liquidità condizionandola alla trasformazione dei settori che beneficiano dei salvataggi perché passino a produzioni “verdi”. In tal modo i fondi per i salvataggi possono diventare lo strumento per il passaggio a una nuova economia concentrata sul “green deal”, l’investimento in lavori della conoscenza e che governi la transizione verso un sistema che pensi alla qualità della vita piuttosto che alla quantità dei prodotti.