Il passato sarà digitale: guidare la trasformazione per non subirla

di Sara Paoletti

Responsabile Marketing ISTAO

Tre lavoratori su quattro saranno millennial, ovvero “nativi digitali”, entro il 2025[1]. Già oggi oltre la metà della forza lavoro mondiale è rappresentata da persone nate dopo il 1980 e dai loro colleghi appartenenti alla generazione Z[2], ovvero dai nati tra il 1995 ed il 2010. Si tratta dei cosiddetti nativi digitali, talenti che sono abituati ad informarsi, divertirsi, interagire, mantenere contatti e rapporti personali e di lavoro in modo totalmente diverso rispetto a quello dei loro genitori e che sono i lavoratori di cui oggi il business ha bisogno e che sta già impiegando.

Restano dunque meno di 6 anni a quello che è un cambiamento demografico nell’anagrafe del mondo del lavoro assolutamente prevedibile, in quanto fisiologico e biologico, ma che rischia di essere uno tsunami per le aziende che non hanno ancora iniziato un percorso di trasformazione digitale. Parafrasando l’autore Erik Qualman, non c’è possibilità di scegliere se trasformarsi digitalmente o meno, il punto è quanto bene saremo in grado di farlo[3].

Qual è l’impatto sul business di questo processo che, dati alla mano, non è futuro prossimo ma presente? È quello che ISTAO ha cercato di spiegare nel corso di un evento, dedicato a soci ed executive appartenenti alle realtà aziendali del territorio e non solo, che si è tenuto il 18 ottobre nella nostra sede di Ancona. Grazie alla presenza di Linkedin, è stato possibile analizzare soluzioni digitali in materia di recruiting, comunicazione e vendita.

Secondo i dati Linkedin, l’Italia esporta professionisti verso altri paesi europei quali Francia, Spagna, Svizzera, Germania e Regno Unito, privando così il tessuto imprenditoriale di risorse fondamentali, che vengono attirate al di fuori dei confini nazionali da competitor che attraverso l’utilizzo di strumenti digitali riescono a trovarli, ingaggiarli e contattarli.

Le aziende italiane dovranno mostrare sempre più attenzione verso temi come lo smart working e la possibilità di lavorare da remoto, cioè in un luogo diverso dagli uffici aziendali, perché la flessibilità è un tema sempre più importante per i lavoratori. All’interno della piattaforma Linkedin che conta oltre 645 milioni di utenti, le offerte di lavoro che menzionano la flessibilità sono cresciute del 78% rispetto all’anno precedente.
Grandissima attenzione è dedicata anche alle soft skill: il 92% dei professionisti nel mondo HR ritiene che le soft skill siano importanti tanto quanto – se non più – delle hard skill, ma appena il 41% delle aziende è in grado di misurare questo tipo di competenze trasversali[4].

La riflessione conseguente è semplice: cosa stanno facendo le aziende italiane per farsi conoscere da talenti che sono nati con lo smartphone in mano e sono disposti a cambiare Paese per andare a lavorare in realtà culturalmente vicine alla propria persona? In che modo si fanno conoscere su mercati esteri o, semplicemente, da nuovi target di clienti che non hanno mai avuto modo di conoscere o contattare in precedenza? Qual è la realtà – dalla neonata start up al colosso multinazionale – che può permettersi oggi di ignorare le potenzialità in termini di fatturato, reputazione, accesso a personale qualificato che forniscono oggi le tecnologie digitali?

La sfida per il business è quella di applicare anche a fattori intangibili eppure vitali quali il capitale umano, la reputazione aziendale, la conoscenza del proprio brand le stesse attenzioni in termini di investimenti tecnologici di cui beneficiano altre aree aziendali. Sarebbe paradossale per un’azienda non fornire alla propria forza vendite un telefono cellulare oppure una connessione internet per contattare i propri clienti, continuando ad utilizzare metodi di contatto del millennio scorso. Allo stesso modo, non riconoscere che la trasformazione tecnologica ed il processo di digitalizzazione è già in atto e non è qualcosa di cui preoccuparsi “domani” rischia di travolgere con conseguenze catastrofiche le realtà che non hanno avuto l’abilità di riconoscere ed attrezzarsi per il cambiamento.

La famosa frase attribuita a Darwin secondo cui a sopravvivere è la specie che si adatta meglio al cambiamento e non la più forte o la più intelligente non potrebbe essere più calzante.


[1] The Deloitte Millennial Survey, 2014 (pdf)

[2] The Deloitte Millennial Survey, 2019 (pdf)

[3] Citazione dall’originale “We don’t have a choice on whether we do social media, the question is how well we do it?” pubblicato su Twitter il 13/11/2014

[4] 2019 Linkedin Global Talent Report

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