A Camerino serve un piano strategico
di Daniele Salvi
Componente comitato Città-Territorio di Istao
(Antica terra per nuove piante – U. Betti)
La rieletta sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha vinto le elezioni amministrative con un programma incentrato su giustizia climatica e giustizia sociale, solidarietà ed ecologia, esemplificate in due slogan: “città della prossimità” e “città del quarto d’ora”.
La storia riserva a volte strane sorprese. Ciò che fino a ieri era un limite, può diventare domani un punto di forza. Dopo tanto parlare di smart cities fa piacere sentir dire che “la città è davvero smart se è al servizio del cittadino” e che “la democrazia non può ridursi alle nuove tecnologie. Sono queste che devono mettersi al servizio delle politiche, non il contrario”.
La discussione sulla rinascita di Camerino dovrebbe partire da qui, da questo capovolgimento ottico a cui la storia ci ha messo di fronte. Un capovolgimento che è anche un balzo di secoli, che può rimettere la “città appenninica” in sintonia con lo spirito dei tempi. Ciò non vuol dire derubricare il tema delle grandi città, che continueranno ad essere i luoghi del cambiamento, ma ritenere che uno spazio nuovo e significativo si sia aperto per chi il cambiamento il più delle volte lo ha dovuto subire.
L’ottimo lavoro fatto dall’Amministrazione comunale nella redazione del Programma Straordinario di Ricostruzione (PSR) e l’impegno che il gruppo guidato dal prof. Francesco Karrer sta prendendo sulle proprie spalle per elaborare il documento direttore ed i piani attuativi delle perimetrazioni della città, sono l’occasione per aprire un dibattito pubblico, acceso e informato, sulle prospettive della città più colpita dal sisma del 2016/2017.
Dibattito in atto già da tempo, dalla elaborazione di Mario Cucinella in avanti e recentemente stimolato dal coinvolgimento della cittadinanza nella discussione del PSR. Ma ora che si entra nel vivo della definizione del futuro della città, l’impegno al confronto e alla partecipazione dovrà intensificarsi.
Né potrà confinarsi alla sola cittadinanza, chiamando piuttosto a dare il suo contributo tutto il comprensorio che da sempre guarda alla “città sul monte” come un punto di riferimento. Ricostruire la città in maniera che sia capace di restituire utilità sociale all’ampio territorio montano di afferenza sarà fondamentale per la sua stessa identità e funzione, che va ridefinita nel segno dell’innovazione.
Da questo punto di vista il problema più grande è rappresentato dal centro storico, l’attuale “zona rossa”. Che cosa farne? Quali funzioni privilegiate riportarvi? Quali scelte nuove fare per dare ad esso il ruolo di luogo pulsante della vita cittadina e di nodo delle relazioni intra-territoriali e interregionali?
Non si tratta soltanto di riempire i vuoti determinati dalla delocalizzazione forzata di realtà e servizi, diversi dei quali sarà difficile riportare in centro, ma d’immaginare nuove attività e opportunità che possano fare dell’“acropoli” un luogo vivo ed unificante della comunità e dell’intero tessuto urbano, anche come nodo di reti più ampie.
Sarà una sfida complessa. Occorre partire dal fatto che la riconfigurazione della città fuori dalle mura sul versante nord-est, seppure avvenuta a seguito degli eventi sismici in maniera concitata e a tratti confusa, è ormai un dato di realtà. Quel che nel 1997 avvenne per le scuole, l’ospedale, il Campus universitario e le nuove sedi della Guardia di Finanza e dei Vigili del Fuoco, oggi è avvenuto per la quasi totalità delle funzioni che la città incorpora.
Facciamo l’esempio dell’Università. Sarà possibile riportarla nel centro storico? Potrebbe avvenire per il Rettorato, magari per la Scuola di Giurisprudenza, ma è del tutto evidente che la gran parte delle Scuole non potrà che avere l’attuale baricentro tra il Campus e Madonna delle Carceri, viste anche le nuove strutture sorte o in costruzione per la ricerca, la didattica e i servizi per gli studenti.
Si potrebbe, invece, lavorare alla costruzione di un polo MAB (Musei, Archivi e Biblioteche) nella zona dove insistono il San Domenico con i Musei civici e universitari, l’Archivio di Stato e l’enorme complesso del Santa Caterina, dove collocare biblioteche scientifiche e umanistiche, offrendo così ai fruitori un complesso di servizi raccolto e di livello nazionale.
Analogamente potrebbero trovare collocazione nel centro storico il Museo e l’Archivio diocesani, opportunamente riorganizzati per tutelare e valorizzare l’enorme patrimonio culturale e religioso che è stato salvato dalla distruzione del sisma e in parte restaurato, a cui va data una nuova e più sicura collocazione.
E che fare di strutture provvisorie che rischiano di diventare stabili o sottoutilizzate, come i nuovi insediamenti commerciali o i villaggi delle SAE?
Il PSR si concentra giustamente sul primo passo da fare, l’investimento strategico per riaprire il cuore della città: Comune, Teatro, Palazzo Da Varano, Duomo e Palazzo arcivescovile, ex-Cassa di Risparmio, con annesso parcheggio meccanizzato, a cui sono stati aggiunti gli interventi sulla Rocca dei Borgia e San Domenico. Geniale l’idea di una nuova strada d’accesso alla città.
Ma Camerino è una città che nella sola “zona rossa” conta ben 56 edifici tutelati (D.L. n. 42/2004), molti dei quali sono grandi contenitori di proprietà pubblica o d’interesse pubblico, le cui funzioni andranno radicalmente ripensate. Il 2021 dovrà essere l’anno della svolta per la ricostruzione di Camerino, “la nostra Aquila”, e della progettazione della città sicura, connessa e sostenibile in linea con gli investimenti del Recovery Fund per l’area del cratere sismico.
La città degli studi, cablata e digitale, dove le competenze sono reali perché formate in loco, la città della mobilità sostenibile a servizio del territorio, la città della qualità della vita e della partecipazione civica e solidale, la città della cultura, quella che Antonio Paolucci chiamava “gli Uffizi delle Marche”, sono da disegnare in maniera integrata, rigorosa, concreta e sostenibile attraverso un Piano strategico che individui punti di forza e debolezza, sentieri di sviluppo, progetti, risorse e tempi, con larga visione e cura del dettaglio.
Senza, il rischio è dividersi su ciò che va riportato dentro e ciò che va lasciato fuori, non riuscendo a dare risposte né al centro storico, né alle nuove aree urbanizzate; oppure tra chi guarda alla vallata del Potenza e chi a quella del Chienti, non interpretando un’autonoma ed efficace idea della propria funzione territoriale.
Nel riguadagnato appeal di un policentrismo che sappia però farsi sistema, nelle Marche regione-arcipelago, Camerino, “città-territorio”, potrebbe divenire luogo di sperimentazioni coraggiose e di un messaggio di futuro ben oltre arenarie e sanpietrini.