L’occupazione cresce ma gli occupati no

di Mauro Gallegati

Economista

L’ISTAT ci dice che nelle Marche tra il IV trimestre 2018 e lo stesso trimestre del 2017, le forze di lavoro crescono (6mila), l’occupazione aumenta di 18mila unità e i disoccupati calano per differenza (12 mila). La crescita occupazionale è –  in percentuale – notevole per il settore primario ed in termini assoluti per il terziario (24mila, di cui 19mila nel commercio e nel turismo), mentre continuano a perdere occupati costruzioni e manifattura (-12mila).

Nelle Marche il miglioramento è il più deciso rispetto a tutte le altre regioni del Centro Italia: il tasso di occupazione (Ancona e Fermo in testa) cresce e quello di disoccupazione cala (Ascoli Piceno e, di nuovo, Ancona). Ci ricorda il Centro Studi Cna Marche che “il calo dei disoccupati … nasce dalla diminuzione della partecipazione al lavoro tra i maschi (per i quali l’occupazione è stabile), si origina invece soprattutto dall’aumento dell’occupazione tra le femmine (aumento che è in grado di assorbire tutta la forza lavoro femminile che si offre in più).” Aumenta anche il numero degli inattivi scoraggiati (chi un lavoro non ce l’ha e rinuncia a cercarlo): di conseguenza, meno persone cercano lavoro e più basso sarà il tasso di disoccupazione.

Quel che mi rende meno ottimista è che a leggere i dati si trovano 2 “macchie”: 1. Quando misuriamo gli occupati non contiamo le persone; e 2. Le Marche son troppo manifatturiere, e la manifattura nei paesi più economicamente progrediti sta morendo.

L’occupazione si misura in due modi: contando quante sono le persone che stanno lavorando, e quante sono le unità di lavoro equivalenti, che tengono conto di quante ore lavora ognuno. Se ci sono due idraulici che lavorano 60 ore alla settimana, gli occupati sono due, ma visto che entrambi fan l’equivalente di un tempo pieno e mezzo le unità di lavoro sono tre. Se poi il lavoro va male, ed entrambi lavorano solo 20 ore, i lavoratori sono sempre due, ma le unità di lavoro sono solo una. In pratica, in un caso si contano le teste, nel secondo quanto lavoro c’è. Il numero dei disoccupati non è una statistica da guardare da sola. Ci sono casi in cui le cose vanno bene, ma la disoccupazione aumenta: quel che capita è che molti sono presi da un turbine di ottimismo e si mettono a cercar lavoro, e finché non lo trovano il numero di disoccupati aumenta. E ci sono casi in cui il mercato è talmente depresso che molti alzano bandiera bianca, smettono di cercar lavoro, e il numero di disoccupati diminuisce. L’andamento delle Unità di lavoro, tiene conto implicitamente delle varie tipologie di lavoro atipico e fornisce risposte più precise per la valutazione delle politiche di intervento sul mondo del lavoro, rispetto a quanto si riesce a desumere considerando gli occupati. Nelle Marche gli occupati sono ancora sotto il livello del 2008, mentre le unità di lavoro sono molto al di sotto del dato pre-crisi, ferme al 2001. Manca il lavoro, “rubato” dalla crisi e dalla globalizzazione – che ha aumentato la concorrenza su prodotti manifatturieri non di qualità.

La seconda preoccupazione mi viene dal fatto che, ad oggi, siamo troppo spostati verso la manifattura (in percentuale sul PIL siamo al 28% – come la Cina – mentre Italia, Europa e USA sono a 18, 15, 12% rispettivamente). Ed è poi una manifattura a basso Valore Aggiunto (il prodotto per addetto è 130 milioni, contro i 180 di Toscana ed Emilia) non più adatta alla divisione internazionale del lavoro.

Cosa accadrà? Provate a rimpinzare un malato di colesterolo di ciauscolo ed olive all’ascolana e vedrete se toccherà portarlo di corsa – prima o poi – dal nipote, cardiologo, del cavaliere Luigi Aquilanti. Così agli occupati della manifattura marchigiana.

 

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