Orizzonte 2027: quale mondo e quale Italia?

di Bruno Lamborghini

Economista industriale

Il Rapporto di luglio delle analisi e previsioni trimestrali di Prometeia, accanto ai dati previsionali per il 2020 e 2021 dedica una parte allo scenario 2027 nel mondo ed in Italia.

Le previsioni per il 2020 e 2021 confermano quanto già presentato da diversi organi internazionali, quali FMI e OCSE, e cioè la grave caduta dell’economia mondiale che perde il 5,2% nel 2020 e recupera il 5.4% nel 2021, con effetti diversi tra Occidente ed Oriente: gli USA perdono il 5,7% e crescono poi del 4,4% nel 2021, l’Unione Europea perde l’8,1% e recupera solo il 5% nel 2021 con l’Italia che perde il 10,1% e recupererebbe solo il 5,9% nel 2021 (ed appena l’1,8% nel 2022, riallineandosi poi al trend strutturale attorno all’1%).

La Cina, a differenza dei paesi occidentali, presenta nel 2020 un andamento limitatamente positivo (+0,6% rispetto però al +6,1% del 2019) ed un forte rimbalzo (+8,9%) nel 2021. Le analisi mostrano come la macchina produttiva cinese abbia ripreso rapidamente nel 2020 la sua marcia, nonostante la incerta eliminazione dei contagi, con una crescita annuale prevista nel periodo 2023­-27 attorno al 5% (in calo un po’ limitato rispetto al trend precedente al 2020 che era il 6%).

Verso l’orizzonte 2027, la crescita annuale del PIL mondiale appare attestarsi al +3,1%, un sostanziale trend analogo agli anni precedenti al Covid, peraltro con indebolimento della crescita per USA (+1,7%) e UEM (attorno a +1%), rispetto a Cina, India e altri paesi asiatici (+5% e oltre). Questo trend conferma ulteriormente lo spostamento del baricentro dell’economia mondiale da Ovest a Est.

Dagli stessi dati di Prometeia si ricava che, sommando il PIL di USA, UE e Giappone, cioè le grandi potenze economiche del ‘900, questo rappresentava nel 1997 il 67% del PIL mondiale. Dopo 20 anni, nel 2017, era sceso al 54% e dieci anni dopo, nel 2027, secondo le stime di Prometeia, scenderà al 48%. Se prendiamo il PIL di Cina, India e altri asiatici (senza Giappone) si passa dal 10% del 1997 al 22% del 2017 ed al 27% del 2027.

I soli USA passano dal 25% del PIL mondiale nel 1997 al 21% nel 2027 contro una Cina che passa dal 4% al 18% avvicinandosi agli USA, che probabilmente verranno eguagliati entro il 2030. Ancora più evidente è il sorpasso asiatico se si considera l’andamento degli investimenti mondiali: USA, UE e Giappone passano dal 66% del 1997 al 40% del 2027, mentre Cina, India ed altri Asia passano dal 14% del 1997 al 40% del 2027, eguagliando gli investimenti dell’Occidente. Sono calanti in percentuale la posizione degli investimenti USA, dal 19% al 14%, e quella europea, dal 29% al 19%.

In netta crescita il PIL procapite in rapporto a quello americano, anche se ancora nettamente distante, per i cinesi dal 3% del 1997 al 37% del 2027, per gli indiani dal 3% al 14%, ma anche per effetto della globalizzazione, quelli dell’America Latina e dell’Africa subsahariana.

Quindi, il PIL mondiale nel 2027 appare mostrare una crescita non distante dai livelli preCovid (certamente inferiore ai tassi precedenti la crisi 2008-13 che ha avuto un impatto più pesante della crisi Covid, almeno sinora percepita), grazie allo sviluppo asiatico, mentre USA e UE appaiono frenati da fattori concomitanti: in particolare, occorre ricordare il rallentamento del commercio internazionale per nuove spinte a crescente reshoring postCovid e l’invecchiamento della popolazione, in specie in Europa, con minori nascite rallentate dalle incertezze Covid e dalla riduzione della popolazione attiva.

Il fattore demografico rappresenta una variabile importante per l’Italia 2027, dato il basso indice di fertilità italiano (1,3), senza politiche di promozione alla natalità, come invece avviene in Francia, Germania e paesi scandinavi (ma anche a Bolzano e a Trento con validi risultati) ed il ridotto contributo migratorio, anche qui rispetto ad altri paesi europei, come la Spagna (inoltre l’Italia ha un elevato tasso di giovani emigranti).

I nati nel 2019 sono stati 337.000 contro 627.000 decessi, con un saldo negativo di quasi 300.000 persone.

Questa situazione appare destinata ad aggravarsi, portando entro il 2030 ad 1,2 milioni di studenti in meno (Fondazione Agnelli) e progressivamente a netti decrementi della popolazione in età lavorativa e della forza lavoro, già attualmente ridotta rispetto ad altri paesi, per la limitata partecipazione femminile che invece dovrà essere facilitata (l’esempio svedese mostra come incentivando nascite e asili si accresce la partecipazione delle mamme al lavoro).

Una demografia negativa porta ad una crescita ridotta, assieme ed ancor più ai fattori economici incombenti sull’Italia, quali una farraginosa burocrazia ancora cartacea ed un gravame insostenibile di norme e regole di enti diversi e scoordinati, il peso del debito pubblico (oltre il 150% del PIL), il cui incremento e costo interessi appare tuttavia relativamente gestibile grazie agli acquisti di titoli da parte della Banca Centrale Europea e l’evoluzione degli investimenti e conseguenti consumi, grazie alla auspicata capacità ancora da verificare di sviluppare progetti reali con l’impiego efficace dei contributi europei del Recovery-Next Generation EU.

Ma è molto importante non subire la sindrome Covid e ripartire.

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