Dazi antidumping e raccomandazioni europee

di Andrea Bugamelli

Avvocato tributarista

L’Organismo europeo antifrode (OLAF) possiede poteri di indagine in molteplici settori dell’Unione Europea, che possono riguardare non soltanto gli organi amministrativi europei ma anche i singoli Stati membri; nei confronti di questi ultimi, le procedure dell’OLAF possono tradursi in Raccomandazioni, ossia in inviti a tenere determinate condotte finalizzate a restituire una situazione di legalità.

Dall’ultimo rapporto OLAF disponibile per l’anno 2017, emerge che sono state emesse 309 raccomandazioni, in calo rispetto alle 346 del 2016 e 364 del 2015. Per quanto concerne l’Italia, nell’intero periodo 2013-2017, sono state riscontrate 832 irregolarità e notificate 31 raccomandazioni.

A livello fiscale l’attività dell’OLAF si concentra, tra le varie, nell’esazione dei dazi antidumping e compensativi, da applicare sulle importazioni di determinate merci provenienti da alcuni Paesi extra UE (es. acciaio, prodotti in ceramica, moduli fotovoltaici prodotti nella Repubblica popolare cinese giusto per citare i più ricorrenti).

In questo ambito le indagini dell’Organismo mirano a contrastare condotte elusive che, tipicamente, consistono in meccanismi di triangolazione, tramite i quali la merce prodotta nel Paese colpito dai dazi viene esportata in un altro Paese extra UE esente dalle misure, per essere infine importata in UE, aggirando l’imposizione. Al termine dell’investigazione I’OLAF predispone un report, nel quale vengono anche individuate le importazioni illecitamente sottratte ai dazi; il rapporto è trasmesso alle autorità nazionali degli Stati membri di ingresso della merce, affinché siano emessi i provvedimenti amministrativi di recupero del gettito, di regola diretti contro le aziende nazionali responsabili dell’importazione che possono trovarsi gravate da importi assai rilevanti.

Sovente accade che l’azione di recupero promossa dall’amministrazione nazionale riposa in modo pressoché esclusivo sulle risultanze del rapporto OLAF che, come riconosciuto dalla giurisprudenza italiana, ha piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari (Cass. 5892/13).

Tuttavia, ciò non può significare che le conclusioni raggiunte dall’Olaf non possano essere poste in discussione dal contribuente e dal giudice, poiché la rilevanza probatoria è quella riconnessa alla formazione e al valore degli atti pubblici, ai sensi degli articoli 2699 e 2700 c.c.

Ciò significa attribuire al report OLAF fede privilegiata in ordine ai fatti che il funzionario attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non in relazione ai suoi apprezzamenti, valutazioni, presunzioni e considerazioni logiche.

Il considerando n. 12 del Regolamento UE n. 883/13, prescrive che “la conclusione dell’indagine si fondi unicamente su elementi aventi valore probatoriocon questo presupponendo che vi possa essere un vaglio giudiziale sulla correttezza delle indagini espletate dall’organismo europeo antifrode. La portata probatoria del report viene inquadrata nell’art. 11, comma 2, Reg. UE 883/13, ai sensi del quale “Le relazioni così redatte costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro ... sono soggette alle medesime regole di valutazione applicabili alle relazioni amministrative nazionali e ne hanno la medesima valenza probatoria“.

Conclusivamente, le risultanze dei rapporti OLAF sui luoghi di effettiva provenienza della merce costituisce certamente una prova utilizzabile nel procedimento amministrativo o giudiziale, col distinguo però che le considerazioni di carattere logico e presuntivo dovrebbero essere apprezzate nella tenuta probatoria, alla stregua delle regole ordinarie di diritto interno, segnatamente l’art. 2729 c.c. sui requisiti di gravità, precisione e concordanza.

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